Emilio Vedova al Magazzino del Sale, Venezia, anni ‘70. Ph Gianni Berengo Gardin, Milano
 Emilio Vedova nello studio del Magazzino del Sale, 1972. Ph Gianni Berengo Gardin, Milano
Magazzino del Sale durante i lavori
Magazzino del Sale durante il restauro
Magazzino del Sale, 2014. Ph Bruno Zanon, Venezia

Magazzino del Sale

Emilio Vedova e i Magazzini del Sale

«... nella famosa pianta di Jacopo de’ Barbari (opera mirabile, a detta dei competenti la più precisa), dell’anno 1500 – esatto, eccoli là, tutti e nove –, questo complesso gigantesco, anche a misura d’uomo-oggi. Sono poco conosciuti, e si capisce perché: si vanno sempre a studiare le architetture che portano un nome nella storia dell’arte, i fasti delle intoccabili architetture dei potenti – singoli e no –, e in gloria dei potenti le si fanno visitare in processioni ammirative! Queste costruzioni invece, questi monumenti-presenza della potenza traffici ed economia di Venezia, e, insieme, del lavoro delle masse che hanno reso possibile – in simultaneo –, le architetture ufficiali e celebrative, li si distruggono senza a mio avviso abbastanza pensarci su... In questi edifici per esempio a misurarsi col sale (... il petrolio della Repubblica veneta...) di tecnica funzionale esemplare, rigorosamente studiati: in obliquo, a contrafforti alterni, sghembi, a tenere – si dice – “il peso sparso” del sale. (quando uno vuoto, altro no). Quali esempi straordinari e ormai rari documenti di lavoro nell’urbanistica veneziana, questi antri giganteschi che trasudano fatica…». Così scriveva Emilio Vedova in Fermiamo il piccone demolitore (“Il Gazzettino”, Venezia, 29 marzo 1974), nel pieno di quella durissima lotta per salvare i Magazzini del Sale dalla incredibile decisione che il Consiglio comunale di Venezia aveva preso il 17 dicembre del 1973 con 46 voti a favore e uno solo astenuto: abbatterli per costruirvi delle piscine, lo “scucchiaiamento degli interni”, lasciando intatto il perimetro esterno. Vedova aveva il suo studio in uno dei nove Magazzini quando, di ritorno da un viaggio a Cuba, trovò la Fondamenta delle Zattere sbarrata e il “piccone demolitore” già entrato in azione: sfondamenti in più parti, macerie, distruzioni e un intero tetto completamente rimosso (ragione per la quale, ancora oggi, uno dei Saloni presenta una copertura trasparente). Da quel momento, seguendo la sua natura poco incline a subire sopraffazioni e ingiustizie, Vedova divenne il vertice di un movimento di protesta che si allargava sempre più e che contrappose per lungo tempo a Venezia forze culturali e sociali attente e sensibili al problema dei Saloni da un lato e altre forze, soprattutto sportive, che aspettavano da più di venti anni “le piscine”. Emilio e Annabianca, insieme a un corteo lunghissimo composto da studenti, intellettuali, artisti e da tutti quanti avevano a cuore la salvezza dei Saloni, infine, intervenirono durante il Consiglio comunale in assoluto silenzio, portando sopra le loro teste una gigantografia della pianta di Jacopo de’ Barbari con evidenziati i Saloni. In quel preciso momento, la storia secolare dei Magazzini del Sale riprese il suo cammino.

E’ con questo spirito che la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova commissiona a Renzo Piano, legato a Vedova da lunga e profonda amicizia, il progetto al Magazzino del Sale. La Fondazione ha seguito le indicazioni del maestro veneziano che, ancora in vita, aveva potuto condividere la straordinaria idea dell’amico Piano con grande entusiasmo e partecipazione. Lo spazio del Magazzino è stato rispettato senza nessun intervento sulle originarie pareti in mattoni né sulle capriate che sostengono la copertura. Sul pavimento in masegni di pietra è stato appoggiato un impalcato in doghe di larice spazzolato, leggermente inclinato, che accentua la percezione prospettica del Magazzino. Sotto la pedana sono stati alloggiati gli impianti che utilizzano fonti di energia rinnovabili. Nella parte iniziale del Magazzino due grandi pareti divergenti, asimmetriche e diagonali rivestite in doghe di larice come il pavimento, a tutta altezza, accolgono i visitatori e contengono le attività di servizio. Nella parte finale del Magazzino sono archiviate, perfettamente allineate nella apposita struttura metallica, le opere. Al centro delle capriate e per quasi tutta la lunghezza dell’edificio è fissato un binario lungo il quale si muovono dieci navette robotizzate. Comandate elettronicamente, dotate di bracci mobili ed estensibili e di un argano che ne permette differenti altezze, prelevano le opere dall’archivio, le portano nello spazio espositivo e le posizionano nel punto previsto. Una macchina realizzata dalla Metalsistem di Rovereto, incaricata dallo studio RPBW - Renzo Piano Building Workshop.